Il 25 aprile è una data memorabile per l'Italia: infatti, è festa nazionale. Non solo, è il giorno in cui si commemora un santo importante, San Marco, patrono della città della laguna ed anche uno dei redattori dei quattro Vangeli canonici.
Tutte ricorrenze importanti, quindi, ma, per noi Radioamatori, il 25 di aprile ha una valenza speciale. Infatti, in questo stesso giorno del 1874, nasceva a Bologna colui che avrebbe reso possibile, poco più di vent'anni dopo, il nostro hobby preferito. In quel lontano giorno di San Marco, nasceva il nostro Guglielmo Marconi.
Il piccolo Guglielmo era figlio del ricco possidente terriero Giuseppe che, insieme agli altri due fratelli, l'avvocato Giovan Battista ed il prelato don Arcangelo, aveva ereditato la grande villa di famiglia, posta a due passi da una collina nota come "dei Celestini" perché, un tempo, vi sorgeva un convento dello stesso ordine, fondato poco prima del 1400; la grande villa era nota a tutti come Villa Griffone. La madre del giovane Marconi, invece, seconda moglie di Giuseppe rimasto vedovo qualche anno prima, era Annie Jameson, irlandese ma giunta a Bologna per studiare canto lirico.
I Jameson sono una importante famiglia di imprenditori dell'impero britannico: il loro business era rappresentato, a quel tempo, da una importante fabbrica di Whiskey, ancora oggi esistente e molto nota: la Jameson & Sons.
Guglielmo non frequentò la scuola ma, come si usava nelle famiglie di un certo rango, ebbe dei precettori privati e, dalla madre, apprese, sin da subito, l'inglese. A quattordici anni già manifestava uno spiccato interesse per la fisica e l'elettricità. Il suo interesse era così marcato che il padre decise, spinto dalla moglie, di regalare al figlio l'abbonamento alla rivista "L'Elettricità", pubblicata in quegli anni a Milano e dove scrivevano i grandi nomi della fisica del tempo. Il giovane leggeva avidamente ogni articolo e ne replicava con cura gli esperimenti. Aveva avuto il permesso dai genitori, di allestire un laboratorio nella "Stanza dei Bachi" della villa di famiglia. Si trattava di uno stanzone in soffitta usato dal nonno Domenico per allevare i bachi da seta ed ormai non più usato. Quello stanzone polveroso, all'ultimo piano della grande costruzione al centro di una proprietà di oltre di 9 ettari, era la sede ideale per lo shack e, se qualcuno cercava Guglielmo, era certo di trovarlo lì, tra scartoffie, appunti, strane costruzioni di legno e metallo, grovigli di fili.
Appena diciottenne, coinvolgeva nei suoi esperimenti il povero maggiordomo di famiglia, Luigi Mignani che, comunque, con garbo lo assecondava; fece anche di tutto per conoscere un professore della locale università bolognese, il professor Augusto Righi che accettò di incontrarlo più volte. Purtroppo, ogni volta, era la stessa storia: Guglielmo esponeva le sue teorie ed i suoi esperimenti, chiedendo pareri, spiegazioni, consigli; era concitato, confuso, sognatore come solo i giovani della sua età sanno essere. Il professore, al contrario, cercava di convincerlo a tornare agli studi ed a coronare i suoi esperimenti con un titolo che gli avrebbe dato accesso agli ambienti accademici.
Ma niente era più lontano dello studio per il nostro giovane ricercatore. Lui preferiva sperimentare, provare, cimentarsi con una materia spesso oscura, leggendo ciò che meglio poteva aiutarlo a districare i problemi.
Lo studio era anche il cruccio del padre Giuseppe: egli avrebbe tanto voluto che suo figlio, una volta preso un valido titolo di studio, lo aiutasse nella gestione delle terre di famiglia da cui, da tre generazioni, i Marconi traevano ricchezza e profitto. Ma niente: Guglielmo non voleva sentir ragioni!
I suoi esperimenti continuavano senza pace. Ormai in casa non lo si vedeva quasi più e, con lui, neanche il maggiordomo, divenuto ormai il suo aiutante preferito.
Quella mattina del primo martedì di luglio del 1895 era una di quelle che giungevano al termine di una notte calda ed insonne. Gli esperimenti lo avevano portato a provare e riprovare ed ora, era giunto il momento della fatale verifica finale. Era sua intenzione verificare se le onde hertziane prodotte dai suoi congegni fossero in grado di superare gli ostacoli e la collina dei Celestini, posta proprio di fronte alla grande villa era, da sempre, l'ostacolo per eccellenza. Aspettò, con impazienza, che arrivasse il fido Mignani, gli diede uno dei suoi ricevitori, un fucile carico e lo spedì oltre la collina, a tre km da casa. Unica spiegazione: sbrigati, accendi e, se senti qualcosa, spara!
Il maggiordomo corse oltre la collina. Quei minuti di attesa parvero a Guglielmo interminabili... fremeva, andando avanti ed indietro nella stanza dei bachi. Finalmente, trascorsi i minuti necessari per consentire al maggiordomo di appostarsi nel luogo convenuto, si avvicinò alla trasmittente. Avrebbe dovuto chiudere il circuito tre volte, trasmettendo quella che, nell'alfabeto inventato da Samuel Morse mezzo secolo prima, era la lettera "O". Schiacciò tre volte il tasto, le dita sudate scivolarono dal pomello. Dopo la trasmissione, chiuse gli occhi e trattenne il respiro. Trascorsero alcuni interminabili secondi: il tempo pareva inspiegabilmente dilatato... poi, finalmente, lo sparo di Mignani riecheggiò oltre la finestra, facendo alzare in volo un pigro stormo di tortore.
Dopo quello sparo, il mondo sarebbe stato, per sempre, più piccolo!